I rapporti tra Cina e Stati Uniti sono in un momento cruciale della loro storia e in questo scenario di generale insicurezza e di pressioni esterne, il Dragone resta il “Paese del futuro”
Il 7 settembre Obama ha tenuto un discorso molto interessante presso l’Università di Illinois.
“Non vogliamo conquistare le persone chiamando i loro nomi o scartando intere parti del Paese, definendoli razzisti, sessisti o omofobi. Quando sostengo di voler unire le persone, mi riferisco a tutta la nostra gente… E raggiungere questo obiettivo è impossibile se disprezziamo le idee altrui ancora prima che esse siano pronunciate, semplicemente perché non ci piacciono. Se pensiamo che essi non possono capirci e che perciò non hanno diritto ad avere una posizione per parlare di certe questioni, beh questo avviene solo perché ingabbiamo le persone in determinate categorie”.
Un discorso questo, che dovrebbe essere tenuto in grande considerazione da tutte le parti politiche nel periodo delle elezioni che si terranno a novembre. Solo così si potrà scongiurare l’eventualità di una recessione o, ancora peggio, di un’altra crisi finanziaria.
Rapporti sempre più tesi tra il Dragone e la Grande Mela
In questo quadro di agitazione politica, la tensione dei rapporti tra Cina e America sicuramente non migliora la situazione, tanto da portare alcuni grandi esperti del settore a parlare di una nuova guerra fredda tra i due Stati.
Un conflitto che sicuramente si è aggravato dopo che, la scorsa settimana, la Grande Mela ha accusato la Cina di hackeraggio. Le insinuazioni sono state smentite in brevissimo tempo, aumentando soltanto i dubbi di un accanimento inopportuno dell’America contro il Dragone. Facile dunque creare un parallelo tra la situazione attuale e quella tra Stati Uniti e URSS ai tempi della guerra fredda. In effetti, la tensione dei rapporti tra i due Paesi sta influenzando sempre di più il sistema internazionale, mettendo in pericolo l’equilibrio del mondo intero. Quelle coinvolte sono le due nazioni più potenti del mondo ed è chiaro che l’ingresso sulla scena di un avversario altrettanto forte scomoda Washington, restia ad un “declassamento” troppo veloce.
I motivi che fanno temere un ritorno alla Guerra Fredda
Rimanendo sul confronto con la guerra fredda tra Stati Uniti e URSS, è importante ricordare quali sono state le cause principali che hanno portato alla disgregazione dell’impero sovietico: un’economia civile troppo debole, un leader privo di forza e autorità e delle spese militari troppo alte per la situazione dell’epoca. Ora, considerando la situazione attuale della Cina, il cui reddito per abitante è passato dai 333 dollari del 1991 ai 7329 del 2017 e la cui aspettativa di vita è aumentata di 34 anni tra il 1960 e il 2010, è evidente che questa volta l’America si è messa contro a un Paese che ha tutti i mezzi per raggiungere le sue ambizioni. E il successo ottenuto nell’ambito dell’Intelligenza artificiale, dimostra un’altra cosa molto importante, ovvero che quella cinese non è una ricchezza energetica, ma umana.
La domanda che il mondo è arrivato giustamente a porsi dunque è se sarà davvero una strategia ragionevole quella di Trump che si sta creando così tanti nemici in Asia e che al tempo stesso sta spendendo cifre più che considerevoli per conquistare l’appoggio degli altri Paesi.
Probabilmente l’ex colosso mondiale non ha considerato che la debolezza interna del Paese causato da spese eccessive può trasformarsi in un pericolo ancora più grande di quello proveniente “da fuori”. Insomma, Trump sta isolando la “sua” nazione proprio nel momento in cui avrebbe più bisogno di alleati e, in maniera incosciente, si sta lanciando in una guerra commerciale che, nel migliore dei casi, creerà vittime in entrambi le parti.
Chi vincerà?
Alla luce di queste considerazioni, molti si chiederanno se la guerra fredda non è che il risultato dell’elezione di Donald Trump. E se nel 2020 ci fosse qualcun altro a capo dell’America, la situazione potrebbe cambiare radicalmente? Non esiste dubbio più grande di questo. Tuttavia, il fatto che Obama abbia dichiarato che “Donald Trump è il sintomo, non la causa” della precarietà attuale, forse rende più semplice farsi un’opinione.
Ciò che rimane certo invece, è che la Cina, a prescindere dalla futura direzione della presidenza americana, perseguirà la sua ambiziosa politica. Non a caso infatti, la politica estera del Dragone è molto più attiva di prima: l’acquisizione di centinaia di aziende nell’Unione Europea, così come l’investimento e il finanziamento di progetti strutturali e aziendali in tutto il mondo, ne sono l’evidenza.
Nonostante queste premesse, che potrebbero lasciar presagire un’inversione di alleanze nello scenario internazionale, l’impossibilità di fare previsioni deriva dall’imprevidibilità di tanti fattori che caratterizzano il panorama socio-economico attuale; primo tra tutti la guerra dei dazi commerciali che ha portato all’introduzione di nuove tariffe doganali del 10% da parte di Washington su oltre 200 miliardi di beni importati da Pechino, mossa che potrebbe creare dei risvolti improvvisi nella situazione economica di entrambi i Paesi. Inoltre, nonostante ad oggi la Cina appaia un Paese estremamente attraente per molti Stati, soprattutto europei, allo stesso tempo è fondamentale attendere i risultati delle elezioni Midterm americane del prossimo 6 novembre prima di saltare a conclusioni affrettate.
I risultati infatti, non serviranno solo a dare un indirizzo preciso alla politica americana, ma aprono anche un grande bivio: la svolta potrebbe favorire la ricerca di nuovi equilibri globali, come determinere il prolungamento del disordine creatosi con l’inizio della presidenza Trump. E solo il tempo potrà portare ad una risposta certa.